martedì 10 aprile 2012

La deportazione di giugno 1941

Con tale locuzione si intende il trasferimento forzato dall’Estonia alla Russia, avvenuto il 14 giugno 1941 sotto il regime sovietico, di 10.000 persone, la metà delle quali non avrebbero fatto mai più ritorno.
Questa operazione fu condotta simultaneamente in tutti i territori occupati dall’Unione Sovietica nel 1939-1940: Estonia; Lettonia; Lituania; territori sottratti alla Polonia ed inglobati nell’Ucraina e nella Bielorussia; Bessarabia sottratta alla Romania. Fu una repressione politica nei confronti degli abitanti dei territori occupati, con la duplice finalità di eliminare le categorie ostili e di integrare rapidamente i territori occupati nel resto dell’Unione Sovietica.
I preparativi per la deportazione erano iniziati nel novembre 1940, quando la NKVD iniziò a registrare i cosiddetti elementi controrivoluzionari. Nel maggio 1941, il Comitato Centrale dell’Unione di tutti i Partiti Comunisti bolscevichi ed il Consiglio dei Commissari Popolari dell’Unione Sovietica disposero che tutte le persone antisovietiche, criminali e socialmente pericolose dovevano essere soggette a deportazione. Tra queste persone erano inclusi i membri dei precedenti partiti borghesi, i poliziotti, gli ufficiali dell’Esercito Estone ed altri. Costoro furono mandati in campi di prigionia, mentre i loro familiari furono arrestati e deportati. Le proprietà delle persone arrestate furono confiscate.
Il 4 giugno 1941 il quartier generale della Repubblica Socialista Sovietica Estone dette il via all’operazione. Furono istituiti dei triumvirati (тройка=trojka), solitamente composti da un dirigente locale della NKVD, da un esponente del KGB e da un deputato, al fine di pianificare la deportazione nelle carie città e contee. L’intera operazione fu coordinata da Venjamin Gulst, Commissario Popolare per la Sicurezza nella RSS Estone, in esecuzione di quanto era stato ordinato da Lavrenti Beria, Commissario Popolare degli Affari Interni.
Durante la notte fra il 13 ed il 14 giugno 1941, 14.471 persone furono arrestate e portate via dall’Estonia. Tra loro, 4.665 capi-famiglia insieme a 691 criminali finirono in campi di detenzione, mentre 9.115 (i familiari) furono mandati in esilio.
A ciascun deportato fu consentito di portare via con sé un massimo di 100 kg di oggetti personali. Ai contadini fu anche consentito di portare qualche piccolo attrezzo agricolo (un’ascia o un rastrello). In teoria ogni famiglia avrebbe dovuto avere 2 ore per preparare i bagagli e caricarli sui veicoli, ma in realtà tali ordini furono molto spesso disattesi e quindi in molti vennero portati via bruscamente, con i semplici abiti estivi indossati ed una o due cose che si potevano afferrare con le mani.
Dall’1 al 3 luglio, altre 1.200 persone furono nuovamente deportate dalle isole estoni. Il numero esatto dei deportati è difficile stabilirlo; la cifra è comunque compresa tra 10.000 e 11.000. La metà di loro fu uccisa o perì a causa delle proibitive condizioni di vita alle quali andò incontro.
Successivamente, il regime sovietico avrebbe giustificato questa operazione come copertura delle spalle, a causa della guerra dichiarata dalla Germania all’URSS nella settimana successiva.
Sotto l’aspetto militare, l’ipotetica e potenzialmente pericolosa quinta colonna poteva essere composta dagli uomini abili e di età compresa tra 20 e 49 anni, da precedenti leaders politici e da militari estoni dei quali si poteva dubitare della lealtà: 2.158 persone in totale. Resta il dubbio su quale pericolo poteva arrecare l’altro 80% dei deportati, ovvero i familiari degli arrestati, composto da bambini, donne e persone anziane.
Per capire bene il senso dei numeri e delle proporzioni, 10.000 abitanti dell’Estonia di allora (che aveva una popolazione totale di 1.130.000) equivalgono a 535.000 abitanti dell’Italia del 2012. Si immagini l’intera Provincia di Udine o quasi tutta la Regione Basilicata che rimanga svuotata di tutti i suoi abitanti in una sola notte…

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