Virus polacco nell’Estonia?
«Anche se in realtà la nostra opposizione è cominciata nel 1940 e se è dallo scorso febbraio che la gente ha preso ad esprimere più apertamente il suo malcontento, in pratica ciò che sta accadendo oggi è una conseguenza di quanto avvenuto questa estate in Polonia: visto che l’Unione Sovietica non è intervenura allora, tanto vale osare di più». Lo dice Axel Milits, uno dei centomila estoni in esilio che sulla sponda Nord del Baltico hanno trovato una nuova patria dopo essere fuggiti dalla terra ove erano nati «perché l’Armata Rossa non solo ci aveva tolto la libertà di parlare e di cantare nella nostra lingua, ma ci sta anche deportando chissà dove, tra l’altro per far posto a gruppi etnici provenienti addirittura da oltre gli Urali».
Gli Estoni fuggiti, come i lettoni e i lituani, si sono poi sparpagliati in diverse parti del mondo, ma è principalmente in Svezia che è rimasto il loro nucleo più tradizionale e agguerrito. E è in Svezia che hanno creato una serie di organizzazioni, enti, circoli e istituzioni che hanno il compito non solo di tener vivo lo spirito nazionale dei baltici, ma anche di tastare tutto quello che accade dall’altra parte, nonché di trasmettere aldilà dei 300 chilometri di mare la voce del mondo libero.
Ora, è dagli ambienti dell’opposizione estone che si è saputo ciò che è accaduto negli ultimi tempi. Nella città di Pärnu si sono messi in sciopero gli allievi della scuola navale, e a Tartu sono scesi in piazza gli studenti dell’università. La polizia ha compiuto 200 fermi ma non ha trattenuto nessuno. Visto che le autorità non volevano o non potevano usare la maniera forte, subito dopo, sempre a Tartu, hanno preso a scioperare i mille operai della fabbrica di macchine agricole, chiedendo il ridimensionamento del piano di lavoro in corso, un aumento dei salari e la disponibilità dei locali di ricreazione senza la supervisione del partito.
Liberati 115 fermati, da Mosca è accorsa una commissione speciale che ha accettato le condizioni poste dai lavoratori confermando così, avevano detto negli ambienti estoni di Stoccolma, «il tempo degli arresti e delle deportazioni era davvero passato». Però, sabato, due persone, Velj Kalep e Mart Niklus, sono state imprigionate per attività controrivoluzionaria come indicato nel paragrafo 75 del codice penale, e centinaia di genitori sono stati convocati alle stazioni di polizia ove è stato loro detto che «in avvenire non sarà tollerato più niente», dovendo poi sottoscrivere un documento nel quale si assumevano la completa responsabilità di come i figli si comporteranno in fututo. Si sa che Kalep, Niklus e Jurij Kukk, tre dei firmatari del telegramma di congratulazioni a Walesa, spedito da venti estoni e lettoni, riuniti a Tallin l’11 settembre, sono già stati portati a Mosca e rinchiusi al Serbeskij Institutet per accertamenti psichici dopo che due medici estoni li avevano giudicati sani di mente.
Negli ambienti degli esuli a Stoccolma la reazione delle autorità non era proprio attesa, ma non ha nemmeno stupito. E si dice che il ribollimento in corso diffuso in diverse parti del Paese, nelle città e nelle campagne, non è che una prima fase di un movimento capillare di opposizione destinato ad estendersi.
Autore: Walter Rosboch per il quotidiano La Stampa, martedì 28 ottobre 1980, pagina 4.
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