Tra il 25 ed il 29 marzo 1949 le autorità sovietiche presero letteralmente 20.702 persone dall’Estonia e le portarono forzatamente in Siberia.
Uno degli obiettivi delle deportazioni effettuate simultaneamente in Estonia, Lettonia e Lituania, fu quello di completare il processo di collettivizzazione avviato nel 1947, in cui le misure economiche avevano fallito. L’altro proposito fu quello di indebolire il movimento di resistenza armata, che era sostenuto dalle aziende che fornivano il cibo.
I preparativi per le deportazioni iniziarono a metà gennaio 1949, dopo l’incontro avvenuto fra i leaders del partito delle tre Repubbliche Baltiche e Stalin. Il 29 gennaio il Consiglio dei Ministri dell’Unione Sovietica determinò il numero delle persone da deportare, le regioni ed i principali compiti operativi. Complessivamente si trattò di 87.000 persone: 25.500 dalla Lituania, 39.000 dalla Lettonia e 22.500 dall’Estonia furono condotte nella Repubblica Socialista Sovietica Autonoma della Jacuzia, nei territori di Krasnojarsk e Khabarovsk e nelle regioni di Omsk, Tomsk, Novosibirsk e Irkutsk. I deportati erano in prevalenza i contadini più agiati (detti Kulaki), i “nazionalisti” ed i familiari dei partigiani antisovietici noti come Fratelli della Foresta (Metsavennad in Estonia, Meža Brāļi in Lettonia e Miško Broliai in Lituania).
Il Ministero della Sicurezza di Stato sovietico fu incaricato di arrestare le persone da deportare e di portarle nelle stazioni ferroviarie, mentre il Ministero dell’Interno fu responsabile per ciascun convoglio e per il trasporto delle persone verso le destinazioni designate. Al fine di effettuare una operazione su scala così massiva, furono utilizzati anche l’esercito, le guardie di frontiera, gli attivisti locali, gli agricoltori collettivi ed altri funzionari, per un totale di circa 2.100 persone mobilitate per l’operazione. Per quello che riguardò l’Estonia, arrivarono più di 1.000 operatori e 4.350 militari dell’Armata Rossa provenienti dalla Carelia (1.800 allievi ufficiali e sottufficiali) e dalle città di Minsk (un reggimento di 1.000 uomini della VII Divisione), di Mosca (850 uomini della I Divisione motorizzata di fanteria) e di Leningrado (700 uomini della XIII Divisione motorizzata di fanteria).
Alcune settimane prima della deportazione, si formarono nelle varie Contee oltre 2.000 gruppi di lavoro; ogni gruppo doveva deportare 4 famiglie.
L’intera operazione, denominata “Oперация «Прибой»” (=”Operacija «Priboj»”, ovvero “Onda di rottura”), doveva iniziare alle 4 del mattino a Tallinn e nelle città capoluogo ed alle 6 del mattino nelle campagne, per dover essere completata in tre giorni.
L’azione si sviluppò secondo questo procedimento: il gruppo di lavoro veniva portato in automobile nel luogo designato, si scendeva e si procedeva a piedi, si circondava la casa e si bloccavano tutte le uscite. Alcuni soldati, guidati dall’anziano del gruppo, poi entravano nelle case, annotavano le generalità delle persone presenti e perquisivano le stanze. I capi famiglia venivano informati della deportazione. I deportati potevano preparare velocemente le valigie ed erano immediatamente portati in luoghi di raccolta convenuti, per essere poi reinsediati definitivamente altrove. I funzionari di partito e gli attivisti comunisti locali rimanevano nella casa per censire mobili ed oggetti che erano rimasti, che poi venivano affidati alle autorità locali. Qualunque cosa appartenente ai deportati fu confiscata.
I deportati vennero portati in luoghi di raccolta designati (stazioni ferroviarie), dove furono caricati su treni speciali. L’ultimo di questi treni lasciò l’Estonia il 29 marzo 1949. Secondo le statistiche degli organi di sicurezza, furono espulse dall’Estonia 20.702 persone (7.552 famiglie).
In Siberia i deportati furono sottoposti ad una strettissima sorveglianza. Essi non furono autorizzati a lasciare la zona in cui erano stati inviati. Il lavoro e le condizioni di vita variarono in base alla regione; pertanto i modi di vivere delle persone furono drasticamente differenti. Le situazioni più complicate vennero a trovarsi nelle famiglie monoparentali in cui lavorava solo la madre, che doveva nutrire i bambini e spesso anche i suoi genitori. Tutte le famiglie dovettero lottare strenuamente per la sopravvivenza durante il soggiorno forzato. Il 15% di coloro che erano stati costretti a lasciare l’Estonia in quel marzo 1949 morì durante la deportazione.
La situazione dei deportati cominciò a cambiare dopo la morte di Stalin nel 1953. Nel 1954 si iniziò a concedere ai primi deportati di ritornare a casa, ma la liberazione massiccia arrivò solo nel 1957 e nel 1958. Gli ultimi deportati sopravvissuti poterono tornare in Estonia nel 1965.
Ma tale libertà non consentì loro di riappropriarsi delle precedenti proprietà, che nel frattempo erano state confiscate, a meno di rarissimi permessi speciali concessi dal Consiglio dei Ministri dell’Estonia sovietica. Agli ex deportati fu anche proibito di stabilirsi a Tallinn, Tartu, nelle città maggiori, nelle isole e nelle zone di frontiera. Diversi divieti e restrizioni avrebbero poi accompagnato queste persone in tutti gli anni a venire.
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