mercoledì 20 luglio 2011

L'Estonia in un articolo del 1961

E' DIFFICILE PER UN OCCIDENTALE L'INGRESSO NEGLI STATI BALTICI ANNESSI DA MOSCA
Anche nelle campagne dell'Estonia sovietizzata
sono i piccoli poderi privati che rendono di più
La collettivizzazione delle terre fu condotta duramente, ed incontrò serie resistenze in un paese dove non c'era latifondo - Ora i contadini dei "kolkoz" possono coltivare in proprio meno di un ettaro: ottengono un reddito quasi tre volte superiore che nel lavoro collettivo. Il regime ha impiantato a Tallin infiniti uffici ed una immensa burocrazia, ma non ha cancellato il vecchio volto della città - In caffè e botteghe di stile scandinavo, in piazze e quartieri d'impronta medioevale, si muove una folla che non ha perduto antiche, gentili tradizioni
(Dal nostro inviato speciale) Tallin, marzo. Nei paesi pre-baltici il regime comunista ha compiuto appena sedici anni. Estonia, Lettonia e Lituania furono annesse all'Unione Sovietica nel '40, in seguito al provvisorio patto Ribbentropp - Molotov, che aveva spartito tra Berlino e Mosca le sfere d'influenza nell'Europa orientale e smembrato la Polonia, ma l’offensiva hitleriana verso Est sottrasse poi per quattro anni le capitali baltiche al potere sovietico, che vi affondò veramente le sue radici solo nel '45, quando le armate dei marescialli Govorov e Merezkov conquistarono l'intera fascia costiera fino a Koenigsberg, oggi Kaliningrad. I governi occidentali non riconobbero mai l'annessione dei baltici.
Nel dopoguerra, Tallin, Riga e Vilno sono state a lungo città chiuse agli stranieri. II sipario si è levato solo di recente, dopo la collettivizzazione delle terre e il consolidamento del regime, ottenuto con metodi, per cosi dire, risoluti. Da poco è stato consentito agli ospiti dell'Unione Sovietica di osservare in qual modo gli estoni si sono adattati al comunismo. In queste circostanze, se è possibile vedere e ascoltare, è disagevole concludere. Non resta che descrivere episodi e personaggi.
Anzitutto le campagne, dove gli estoni sono ancora in grandissima maggioranza. A 100 chilometri da Tallin, nella provincia di Rakvare, ho conosciuto un personaggio singolare. Si chiama August Lappassaa, figlio di un ex-kulak, anche se questo nome a lui non piace: preferisce dire che il padre era un piccolo proprietario agiato, un coltivatore diretto. Oggi, Lappassaa è presidente di un grande kolkoz, intitolato allo scrittore Edvard Vilde. Il vice-presidente dell'azienda collettiva è anch'egli figlio d'un coltivatore diretto. Nei tempi «borghesi» l’intera provincia era divisa in piccole proprietà: nessun barone della terra, nessun bracciante, poiché la Repubblica indipendente aveva già realizzato a suo modo una riforma agraria.
La dimensione dei poderi era costante, dai venticinque ai trenta ettari, di cui dieci o quindici coltivabili. V'erano aziende ricche e povere, così come proprietari abili o inabili. L'espropriazione comunista avvenne negli anni 1949-50.
Lappassaa è un uomo pratico, col quale si può discutere di cose concrete. Dalla sua conversazione, tra un bicchiere e l'altro d'una speciale vodka estratta dalle patate e prodotta dal kolkoz, ho avuto la conferma che la collettivizzazione non fu pacifica. I coltivatori poveri vi si adattarono più facilmente; gli altri, i benestanti, che mandavano già i figli a studiare all'Università di Tallin o a quella di Tartu, obbedirono a due diversi stati d'animo: si opposero, e a tale atteggiamento associarono anche la protesta antisovietica fondata sui motivi del «nazionalismo borghese», oppure decisero di saltare il fosso, sapendo che il regime aveva bisogno di esperti e considerando che è meglio dirigere piuttosto che essere diretti. Non ho conosciuto nessuno di coloro che si opposero, chissà dove sono. August Lappassaa e il suo sostituto, evidentemente, appartengono all'altra corrente.
I dipendenti del kolkoz guadagnano oggi in media 96,40 rubli nuovi al mese (circa 66 mila lire). Ma si tratta di un kolkoz ricco, una fattoria modello perfettamente meccanizzata, di quelle che si mostrano ai forestieri. Il comportamento dei contadini produce anche qui, tuttavia, un fenomeno significativo, che traspare dall'analisi del bilancio kolkosiano.
L'azienda possiede 3600 ettari di terre, di cui 2000 coltivati in comune. Il lavoro collettivo rende in un anno beni per un milione e 130 mila rubli nuovi. Ad ogni capofamiglia è concesso poi in uso privato un appezzamento di terra pari a sei decimi di ettaro, che rende in media 800-900 rubli nuovi all'anno. Vivono nel kolkoz 283 famiglie, che complessivamente coltivano a titolo privato 170 ettari di terra. La proprietà privata produce dunque 283 volte beni per 800 o 900 rubli nuovi all'anno su 170 ettari. Moltiplicando per la media (850) otteniamo un valore di 240.550 rubli nuovi, mentre la proprietà collettiva rende su duemila ettari un milione e 130 mila rubli nuovi. Dunque gli appezzamenti privati rendono per ogni ettaro 1415 rubli nuovi in un anno e la proprietà collettiva rende per ogni ettaro 565 rubli in un anno.
Il kolkoz è specializzato nella produzione di carne e latte e ospita persino un allevamento di animali da pelliccia (visoni, zibellini, volpi). Non c'è un solo russo nella fattoria. Tutto si fa in famiglia, alla buona. I contadini vivono in casolari lindi, separati l'uno dall'altro all'uso estone, gelosi della loro indipendenza reciproca. La città presenta un'analoga sovrapposizione del nuovo regime al modo di vivere degli estoni. Di notte, quando le moltitudini degli immigrati russi non occupano le vie di Tallin, si può dimenticare d'essere nell'Unione Sovietica. Piazze e vicoli europei, intatti quartieri dell'età anseatica, insegne e stemmi dei Portaspada e delle ghilde mercantili, conservati con la religione di un popolo intimamente legato al suo passato. Botteghe ancora eleganti, vecchie lanterne di ferro battuto, angoli gotici e caffè tradizionali, sempre aperti fino alle ore piccole.
Potrebb'essere Copenaghen o Lubecca: non solamente le severe dimore della borghesia ottocentesca, dai mattoni rossi e dai battenti d'ottone ancor lustri, ma pure le nuove costruzioni evocano la società protestante dei Buddenbrook assai più che ricordare l'esistenza del signor Kabin, primo segretario del partito comunista dell'Estonia sovietica e capo della nuova classe dirigente.
L'incarico di richiamare alla mente quel che è avvenuto pare affidato alle targhe in cirillico, che annunciano i ministeri e gli innumerevoli upravlenii e otdelenii (enti e uffici sovietici), dislocati a presidiare la città alta intorno al centro goticheggiante. Qualche volta si esagera. Al numero ventidue della via Pikk c’è un edificio medievale, che reca un'iscrizione in lettere latine («Anno Domini 1309») e bassorilievi raffiguranti due maestosi cavalieri dell'ordine di Livonia; ma sull'ingresso è stato collocato un grande cartello rosso, come ce n'è tanti a Mosca, sul quale è scritto: «Aghitpunkt» (parola russa che significa Centro di agitazione civica).
I grandi magazzini di Tallin, benché non opulenti, sono migliori degli Univermag moscoviti. La merce vi è ben disposta, non accatastata o celata agli occhi del pubblico, i commessi hanno ancora voglia di vendere e di lustrare gli stigli di linea svedese, l'artigianato non è scomparso del tutto (porcellane, argento, legno). La tradizionale vita di caffè non è andata perduta. Più fortunati dei moscoviti, i fidanzati di Tallin possono prendere il tè senza mettersi in coda. Ritrovi splendenti e cqnfortevoli, lontani dall'austerità russa: vi si scopre perfino la panna montata e i giovani di famiglia borghese, anche quelli che oggi fanno gli operai, vi si riuniscono in circoli esclusivi, come se nulla fosse accaduto. Pitture astratte alle pareti, kellerine solerti, allegre, e talvolta perfino camerieri in smoking.
Il più antico caffè, di Tallin si chiama Vana Thomas, ossia Vecchio Thomas. E' necessario chiarire che Thomas è il prototipo proverbiale del cittadino estone, come Ivan del russo. Ivan avrà le sue ragioni per starsene seduto volentieri alla stolovaia, dinnanzi alla sua zuppa, con ambedue i gomiti piantati sul tavolo, o comunque per non esigere altri conforti e non essere sensibile a più gentili costumi; ma Thomas non rinuncia a vivere alla sua maniera, con garbo, a tavoli separati, salutando il prossimo con un inchino. Che il comunismo potesse vestire panni diversi lo sapevamo già, avendo confrontato Mosca e Varsavia. Adesso constatiamo che questo accade anche entro i confini dell'Unione Sovietica, verso l'Europa.
Ciò non significa, beninteso, che il tenore di vita concreto degli estoni sia superiore allo standard russo. Il sindaco di Tallin ci ha detto che i cittadini della capitale estone dispongono in media di 6-9 metri quadrati di superficie abitabile pro capite.
L'Enciclopedia Sovietica dice che gli estoni ricavano dal Baltico una immensa quantità di pesce ed elenca salacche, acciughe, merluzzi, sogliole, anguille, salmoni ecc. ecc.; ma i negozi, i mercati e i ristoranti non lo confermano. Nessuno sa in quali condizioni versi il porto commerciale, perché è chiuso agli estranei, come quello militare.
Descriveremo più oltre i termini del problema più delicato, dal punto di vista economico e da quello politico: la massiccia immigrazione russa. Anticipiamo per ora che a Tallin si pubblicano quattro giornali quotidiani di considerevole tiratura, dei quali due in lingua estone e due in russo. Fra i teatri cittadini, uno è russo. L'8 marzo, celebrando la giornata della donna sovietica, il teatro «Estonia» (in lingua estone) metteva in scena curiosamente, dopo i discorsi ufficiali, l'operetta «Baiadera» di Kalman.
Autore: Alberto Ronchey per il quotidiano La Stampa, mercoledì 22 marzo 1961, pagina 3.

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