sabato 22 ottobre 2011

L'Estonia in un articolo del 1950

Prima tappa verso l'Occidente
Fuga dagli Stati baltici
Su piccoli battelli i profughi sbarcano sulle spiagge scandinave - 300 mila hanno già lasciato i loro Paesi che erano tra i più civili d'Europa - La fine della vecchia guardia comunista - La posta clandestina con i "trasferiti" nell'URSS
(Dal nostro inviato speciale) Visby (Mar Baltico), sett.
«Ai russi noi siamo grati di una sola cosa: di averci vendicati dei nostri peggiori nemici, i comunisti della prima ora», dice il profugo estone, uno dei 300.000 baltici fuggiti dalla Lituania, dall'Estonia e dalla Lettonia dopo la seconda invasione sovietica. Nel 1940, quando le armate bolsceviche entrarono per la prima volta nei tre Paesi, pochi cittadini scelsero la via dell'esilio: avevano vissuto per generazioni e generazioni sotto gli Zar e, pur lamentando la perdita dell'indipendenza conquistata combattendo vent’anni prima, credettero di potere, di dover restare in patria. Ma quando i russi fecero ritorno dopo aver scacciato le armate tedesche: allora, nel 1945, estoni, lituani e lettoni, ricordando le stragi, le deportazioni, gli arresti arbitrari del primo periodo di occupazione, fuggirono. Trecentomila su sei milioni di abitanti.
Destino comune
Non soltanto intellettuali, capitalisti, proprietari terrieri, liberi professionisti che tutti insieme formano appena il quattro per cento della massa dei profughi, ma impiegati, funzionari, operai e contadini. E continuano a fuggire, con minuscoli battelli a remi o a vela che sbarcano sulle spiagge scandinave il loro triste carico di profughi da quelle che erano tre fra le più civili nazioni del mondo, con un livello di vita e una giustizia sociale di molto superiori a quelli di quasi tutti gli altri stati europei. Com'è la vita in questi Paesi a dieci anni di distanza dal giorno in cui vi misero piede per la prima volta i soldati dell'armata rossa?
Forse val la pena di iniziare il racconto narrando ciò che è capitato ai comunisti della prima ora e ai socialisti di sinistra che prepararono i «plebisciti» del 1940 per aprire le porte ai soldati stranieri e giungere all'incorporazione dei tre Paesi nell'Unione delle repubbliche socialiste sovietiche. Non c'è purtroppo molta varietà nei fatti perchè dopo i nomi dei comunisti che formarono i primi governi bolscevici occorrerà aggiungere sempre le stesse parole: «suicida», «fucilato», «scomparso», «epurato».
Johannes Vares, chirurgo di buona fama, poeta, cospiratore ed organizzatore politico, era il più famoso dei comunisti baltici della vecchia guardia, amico personale di Stalin: un Thorez locale o un Grotewohl del Baltico, se volete. Naturalmente fu nominato presidente del Soviet supremo quando i russi entrarono in Estonia; li seguì a Mosca durante l'occupazione tedesca; tornò a Tallin nel 1945, sempre come presidente del Soviet supremo; ma quando il 10 novembre del 1947 il suo ministro degli esteri, Hans Kruus, gli chiese di firmare un decreto legge per l'invio in Siberia di 74.000 «reazionari» Johannes Vares andò nella stanza da bagno attigua al suo studio e si uccise con un colpo di rivoltella in bocca. Tre ore più tardi, appresa la notizia, si tolse la vita sua moglie. La stampa comunista parlò di esaurimento nervoso.
«Traditore deviazionista»
Hans Kruus, il suddetto ministro degli esteri, già rettore dell'università di Tartu durante la prima occupazione sovietica, ha resistito al suo posto fino all'otto marzo di quest'anno; ma già dallo scorso Natale, da quando era stato costretto a ripudiare uno scritto nazionalista imprudentemente pubblicato in una rivista di storia, egli non si faceva illusioni sul suo destino. S'era messo a bere, in una sua casa di campagna, e gridava ai servitori: «Adesso vengono», ogni volta che sentiva passare un'automobile. Gli uomini della NKDV vennero infatti l'otto marzo e il giorno dopo i giornali attaccarono il «traditore deviazionista» che era stato ministro degli esteri comunista per tanti anni. Fu liquidato in aprile, come mi ha raccontato il suo cameriere, espatriato per paura di dover seguire il destino del padrone.
Nigol Andresen, radicalsocialista, vicepresidente del consiglio, aveva un figlio all'estero che nel 1949 entrò a far parte di un comitato di profughi firmando in tal modo la condanna a morte del padre che fu «dimissionato» nel 1949, eliminato nei primi giorni di quest'anno. Non s'è mai invece conosciuto il motivo della disgrazia di Maxim Unit, un altro comunista della prima ora, ministro degli interni nel primo gabinetto bolscevico in Estonia. Fu deportato in Russia nel marzo del 1941 e da allora non si sono più avute sue notizie, come non se ne sono più avute del poeta radicalsocialista Johannes Semper, ministro dell'educazione nazionale, deportato nell'aprile di quest'anno.
Di Boris Sepp, socialista di sinistra, ministro della giustizia, fucilato nel 1941, si sa che si era opposto all'introduzione della pena di morte nel codice penale estone; ma quale decreto si rifiutò di firmare il suo successore, Friedrich Nigol, morto in prigione dopo esser restato in carica per pochi mesi? E perchè, nell'ottobre del 1941, fu fucilato il ministro comunista dell'agricoltura, Alexander Jöeäär? Perchè fu deportato nell'aprile dello stesso anno Orest Kärm, ministro delle comunicazioni di cui con deplorevole monotonia va detto che era anche egli un comunista della vecchia guardia?
Pagare con la vita
A tre «si dice» bisognerà affidarsi per conoscere i motivi della fucilazione in Lettonia di Julius Lacis, ministro della giustizia sociale (si parla d'una questione di donne), di Julius Tabaks, ministro delle finanze (si sarebbe opposto al cambio forzoso della moneta) e di Peter Blaus, ministro della propaganda (che avrebbe fatto il doppio gioco). Di sicuro c'è che erano tre comunisti della primissima ora e che non hanno fatto una bella fine. Concluderò dicendo che il ministro del lavoro, Peter Hunt, fu invitato un giorno a intervenire contro i soprusi del commissario sovietico che aveva ridotto la paga agli operai di alcune fabbriche. Hunt, vecchio sindacalista, intervenne con molta energia; ma riflettendo su quanto gli capitò (fucilato) c'è da pensare che agì con poca prudenza.
Questo è stato il destino degli uomini, socialisti di sinistra e comunisti, che dopo aver cospirato in favore dell'Unione sovietica, scontando anni e anni di galera nelle prigioni di Tallin, di Riga, di Tartu, dopo aver organizzato sabotaggi e attentati contro i governi «reazionari», dopo aver preparato i plebisciti per l'annessione dei Paesi baltici all'U.R.S.S., furono premiati dai commissari russi (Vischinsky in Lettonia, Zdanov in Estonia, Dekanozov in Lituania) con un portafoglio ministeriale nei primi gabinetti bolscevici. Facendosi eccessive illusioni sull'autorità del loro passato, essi credettero di poter seguire talvolta una politica indipendente o nazionalista, di poter discutere gli ordini di Mosca. Era un errore e lo hanno pagato con la vita.
I loro posti sono stati presi da comunisti più ligi alla politica di Mosca, da oriundi baltici appartenenti a famiglie che vivevano da oltre cent'anni nelle «isole baltiche» della Russia, e cioè da cittadini sovietici da quei Rokossowski in sedicesimo di cui il Cremlino sta popolando gli stati vassalli.
Paura di comprometterli
L'isola dei Goti (Gotland), situata fra la Svezia e i Paesi baltici, è la prima tappa dei profughi che riescono a fuggire dall'Estonia, dalla Lituania e dalla Lettonia. Essi costantemente ottengono dalle autorità svedesi il diritto di soggiorno e di lavoro. Il governo di Stoccolma è molto generoso, pur sapendo che fra i rifugiati, specialmente fra quelli polacchi, si celano numerosi agenti comunisti i quali tentano di intrufolarsi nelle organizzazioni dei profughi. Ma fra i baltici, che si conoscono quasi tutti gli uni con gli altri, spie e delatori sono rarissimi.
Ai parenti e agli amici rimasti in patria i profughi non scrivono quasi mai, per paura di comprometterli. Ma spesso essi scrivono ai baltici che sono stati deportati in Siberia o in altre province russe. Si tratta di circa 400.000 persone. La parola «deportazione» è forse dura, perchè buona parte di essi gode in Russia di libertà quasi illimitata, pur non potendo abbandonare le località dove gli è stato imposto di soggiornare. A questi si può scrivere senza timore di comprometterli, perchè non hanno molto da perdere. Lettere e pacchetti gli arrivano regolarmente ed essi trovano modo di far sapere loro notizie. Fra l'Unione sovietica e i Paesi baltici si viaggia senza bisogno di speciali autorizzazioni e non riesce difficile affidare un messaggio ai viaggiatori, a chi vuole sfuggire l'eventuale controllo alle lettere inviate per posta, quantunque — almeno ufficialmente — non vi sia censura epistolare all'interno della Russia. Questo sistema funziona anche in senso contrario.
Dai parenti e dagli amici i profughi non ricevono quasi mai notizie con la posta regolare; ogni tanto però arrivano lunghe lettere in cui i parenti li invitano a rientrare in patria e gli dicono che le cose vanno molto bene, che nessuno gli farà del male se torneranno e altre belle parole. Ciò avviene di solito una volta l'anno ed è facile indovinare che si tratta di una iniziativa delle autorità sovietiche. I mittenti trovano tuttavia modo di insinuare delle frasi che distruggono l'effetto ufficiale delle lettere. «Se tornerai — si leggeva in una di queste missive —, avrai un buon posto nello stesso ufficio dove lavorano fin da ragazzi i tuoi due cugini»; e chi ricevè la lettera, ricordando i cuginetti falciati da un'epidemia prima della guerra, non ebbe difficoltà a comprendere il monito segreto. Oppure: «Torna, caro, ma non da solo; induci lo zio Samuele ad accompagnarti»; frase molto chiara per il profugo nella cui famiglia non vi era mai stato uno zio Samuele e che capì subito chi fosse l'Uncle Sam insieme al quale avrebbe dovuto fare ritorno. Oppure: «Torna, caro, si dice che l'estate sarà molto calda, come non se n'erano avute da trent'anni» (da quando cioè i baltici conquistarono l'indipendenza combattendo). Finora, almeno per quanto risulta, non un solo profugo ha fatto ritorno in patria in seguito a queste lettere o per altri motivi.
A proposito dell'allusione a una estate «molto calda» dirò che le popolazioni dei Paesi baltici vivono di simili speranze, anche se irragionevoli, e sono pronte a prestare fede alle voci più assurde. Quando ci fu l'incidente del «Privateer», il quadrimotore americano abbattuto dalla caccia russa, i baltici si lasciarono suggestionare dagli articoli pubblicati dalla stampa comunista che accusava Truman di voler sfruttare l'incidente per iniziare le ostilità e attesero di giorno in giorno lo sbarco degli americani. La grande epurazione di luglio in Estonia e in Lettonia, che ha travolto anche personaggi comunisti di primissimo piano, è stata in parte dovuta al fatto che molte persone, seriamente credendo all'imminente sbarco statunitense, dimenticarono le abituali norme di prudenza e di finzione cui li costringe la occupazione sovietica.
Non è piacevole ricordarlo, ma il fatto è che vi sono oggi nel mondo milioni di persone che «sperano» nella guerra. Milioni di persone per le quali la guerra rappresenta l'ultima speranza a cui aggrapparsi per avere la forza di continuare a resistere. Non è piacevole ricordarlo, ma è cosi.
Autore: Enrico Altavilla per "La Nuova Stampa", martedì 5 settembre 1950, pagina 3.

3 commenti:

  1. Talmente lontano dalla nostra realtà odierna che si fatica a credere che tutto ciò sia successo per davvero. Invece è successo. Per questo è giusto leggere, e - nel leggere - è sempre utile dimenticare per un istante il nostro oggi, raccogliersi in silenzio e provare a immedesimarsi nei drammi altrui di ieri.

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  2. Non è superfluo ricordare, poi, che sebbene siamo ormai arrivati al 2011 il governo di Mosca non ha MAI chiesto scusa per il trattamento inflitto ai Baltici, né ha mai mostrato cenni di pentimento o di vergogna storica.
    Questo particolare lascia presupporre che, qualora si verificassero condizioni storiche positive, la Russia forse sarebbe pronta a replicare un nuovo atto dello stesso copione: occupazione, violenze, oppressione, deportazione, progressivo annientamento di lingua, tradizioni, costumi e credenze.
    Lo possono confermare i cittadini odierni di Estonia, Lettonia e Lituania. Purtroppo non lo possono confermare i cittadini del "quarto stato baltico" (l'Oblast' di Kaliningrad), perché gli abitanti di prima del 1945 sono già estinti a seguito di occupazione, violenze, oppressione, deportazione...

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  3. @lituopadania - Confermo. Anche se le cose riferite non sono mai incisive - se non sono state vissute in prima persona - renderle pubbliche è sempre meglio di niente.
    @Lorenzo Parodi - Condivido il primo giudizio sulla Russia, ma, onestamente, le violenze perpetrate dai Russi nei confronti dei Baltici erano derivate dall'ideologia comunista e non perché i Russi erano Russi. Infatti dal 1721 al 1917 la Russia aveva già esercitato l'amministrazione nei territori del Baltico orientale annessi, ma non c'era stata alcuna imposizione di alcun genere a parte quella fiscale: la lingua prevalente era il tedesco e nella seconda metà dell'Ottocento, con la nascita dei sentimenti nazionali, non ne conseguì alcun giro di vite da parte dello Zar.
    Riguardo al "quarto stato baltico", infine, c'è da fare un distinguo. La Prussia orientale fu una preda di guerra dei Russi, che erano stati attaccati dai Tedeschi ed erano arrivati a subìre anche l'assedio di Leningrado per 900 giorni. I Russi nelle statistiche delle vittime della Seconda Guerra Mondiale rappresentarono quasi la metà di tutti gli europei e quindi, dal 1943 in poi, comprensibilmente si vendicarono sui Tedeschi aggressori. E, per dirla alla latina, "vae victis".

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