lunedì 25 luglio 2011

L'Estonia in un articolo del 1938

Nel paese dalle notti bianche
Vita e anima del popolo estone

(DAL NOSTRO INVIATO) TALLINN, maggio.
Stando a quel che ne dicono gli archeologi, fu circa duemilacinquecento anni fa che alcune tribù di quella razza designata col nome incerto di «ugro-finni» lasciarono il centro della Russia dove bivaccavano tra Volga e Urali e vennero a stabilirsi al 59° Nord in riva al Baltico: probabilmente perchè il luogo d'origine era diventato troppo poco sicuro con tutto quel movimento emigratorio e non vi si poteva più lavorare in pace la terra. Ottima la ragione, ma pessima la scelta. E gli estoni se n'accorsero alcuni secoli dopo, quando, svegliatisi dal letargo danesi, svedesi, tedeschi e polacchi uno dopo l'altro o tutti insieme calarono su quell'angolo di terra a contendersene il dominio. Sino al 12.o secolo dopo Cristo non ci fu che qualche spedizione punitiva di Vichinghi, a cui gli estoni risposero come si doveva una volta per tutte saccheggiando Sigtuna e obbligando gli svedesi a trasportare la capitale a Stoccolma. Ma a partire da quel momento gl'indesiderati ospiti cominciarono ad arrivare non più a dosi omeopatiche di piccoli legni corsari, ma a eserciti interi. E quegli eserciti non erano solo armati di spade e corazze ma anche della Croce Cristiana; e ognuno sa quali grossi inconvenienti hanno sempre accompagnato le colonizzazioni intraprese nel nome della sublime religione dell'Amore. I primi impresari furono i cavalieri dell'Ordine Teutonico aiutati dai danesi, poi nel 1583 l'accollo passò a polacchi e svedesi; poi agli svedesi soltanto (ed è questo periodo, che va dal 1625 al 1710, che gl'indigeni intendono designare colla formula «il buon tempo antico»); finché la finestra baltica di Reval non cominciò a stuzzicare gli appetiti di quello strano re contadino maniaco di navi e di mare che fu Pietro il Grande. Così cominciò il periodo russo del Ducato Baltico il quale non si trasformò in repubblica indipendente che nel 1920 in seguito alla guerra e alla rivoluzione.
La donna
Nell'antichità gli estoni furono chiamati «hominum humanissimi». Ma io credo che questa lusinghiera definizione venisse loro più da una povertà del divino che da una ricchezza dell'umano. Infatti il nome ch'essi si dettero per primo fu quello di «maa rahvas» che vuol dire uomini della terra. E alla terra rimasero e rimangono attaccati anche dopo che la conversione coatta al Cristianesimo ebbe cercato di persuaderli che sopra la terra c'è un cielo. Gli estoni accettarono il cristianesimo ma al cielo continuarono a non crederci e neanche oggi ci credono: è di due anni fa la tesi di laurea di una studentessa di Tartu nella quale si dimostrava la necessità, per ragioni di coerenza nazionale, di tornare al culto del vecchio Dio Taara, dio di terra, galantuomo bonaccione e economo per giunta, che nei sacrifici si contentava di poche gocce di sangue sulla nuda pietra. «Humanissimi» han ragione di chiamarsi gli estoni, ma solo per il loro carattere positivo —francamente e soltanto positivo— che fa di essi un'isola nel magno e confuso mare dei popoli nordici genericamente caratterizzati da una forte propensione alla speculazione cosmica e al senso del mistero. Gli estoni non hanno nessuna capacità speculativa e scarse capacità intellettuali. Fortissime invece la qualità morali nel senso di un carattere tenace fino alla cocciutaggine, ma controllato dalla furberia e dalla prudenza. Sono dei costruttori nati. L'intelligenza è surrogata da una sensitività delicatissima che si rispecchia nella lingua: una lingua morbida e dolce, riccamente vocalizzata, ma priva dei termini anche più elementari per esprimere i «concetti»; doviziosa invece nel campo delle cose e dei sentimenti; con perfette onomatopeie; con sfumature sottili per esprimere le più lievi differenze di suoni, di colori, di profumi; con continue indulgenze alle necessità musicali del linguaggio. Chiusi sul proprio mistero, incapaci persino di supporne l'esistenza, gli estoni sono invece chiarissimi sul inondo esterno. Il loro rapporto è uno solo e diretto: uomo-natura.
Venuti a stabilirsi nel Nord da tempo immemorabile, gli estoni tuttavia non hanno nulla a che fare coi nordici propriamente —seppur vagamente— detti. L'opposizione anzi è fondamentale rispetto ai vicini di casa scandinavi e si manifesta sopratutto nell'atteggiamento della donna (al disopra di un certo parallelo è la donna, non l'uomo, che decide). Anche qui siamo in regime amazzonico, ma l'amazzonismo estone è di marca ben diversa di quello, poniamo, svedese. La poligamia delle donne estoni non ha nulla di dilettantesco, e, a parte lo snobismo di certi ceti metropolitani, è controbilanciata dalla coscienza del peccato. In Estonia è ancora possibile una sistematica femminile basata sui due concetti capitali —invenzione meridionale e cattolica— della vergine e della prostituta. Mentre il Nord protestante non conosce questi due concetti o li confonde nel torbido problema della sessualità. La donna estone è molto meno problematica della scandinava, anzi non lo è affatto: fa all'amore più di quanto ne parli e si pone dinanzi all'uomo senza l'ansia dell'interrogativo sessuale; è capace di devozione: è insomma, dal nostro punto di vista, infinitamente più morale, anzi è morale senz'altro. L'amazzonismo non nasce da ragioni di slegamento sessuale della femmina dal maschio come in Scandinavia ma da semplici contingenze di clima e di necessità di lavoro: non è sostanzialmente diverso da quello che vige nelle nostre classi rurali, dove la massaia, che lavora la terra con l'uomo, alleva i figli, tiene la casa, ricava dalla preponderanza delle sue funzioni un prestigio altrettanto preponderante. Infatti il femminismo in Estonia non alligna. Il femminismo nasce dalla cattiva coscienza, cioè da un complesso d'inferiorità, della donna rispetto all'uomo, esattamente come la teoria della superiorità delle razze nasce dall'oscuro tormento di una propria inferiorità. Questa cattiva coscienza nelle donne estoni non c'è ed è naturale che non ci sia.
Un popolo che canta
Neanche nel concetto e nell'adorazione della pulizia gli estoni si accomunano coi popoli del Nord. La pulizia, come i nordici l’intendono, è una cosa complessa che non si limita al trattamento esterno, ma implica anche un atteggiamento psicologico che si potrebbe definire con la formula generica «rinunzia alla storia». La storia la fanno i popoli sudici. Nell'orrore degli scandinavi —un orrore sincero purtroppo— per il sangue, l'ambizione, la violenza, è la misura esatta del loro stato di decomposizione. Gli estoni al contrario accettano la storia cioè il pericoloso vivere. Il loro nazionalismo è forse più geloso che ambizioso, ma anche questo carattere trova la sua spiegazione nella predominanza anzi nel monopolio, nella vita estone, del piccolo proprietario contadino. Tutti in Estonia sono piccoli proprietari contadini: il presidente della repubblica, l'ufficiale, il libero professionista. I popoli cosiffatti sono quadrupedi che il peso del corpo lo spostano tutto sulle zampe di dietro: popoli a maturazione lenta, conservatori non per programma o per partito preso, ma per istinto, diffidenti, impermeabili alle idee. Delle idee, che non possiedono, hanno una nostalgia grande. In un certo senso le accettano tutte, ma dopo esservisi baloccati un po' le posano come ragazzi capricciosi e annoiati. Questo dà un'impressione illusoria di grande mutevolezza, come si trattasse, invece che di un popolo, di una carovana. Ma poi ti accorgi che questa carovana è immobile e che non c'è nulla che possa toglierla a quella immobilità.
L'unica cosa che gli estoni hanno a comune coi veri nordici è la aspirazione al canto. (Ma qui c'è un equivoco grosso. In genere si crede che i meridionali cantino più dei settentrionali ed è su questo equivoco che si fonda una buona percentuale dell'ammalato struggimento dei nordici per il Sud. Ma a Stoccolma si canta infinitamente più che a Napoli e —differenza ancora più significativa— si rispetta chi canta. Noi italiani cantiamo molto meno, lo facciamo senza accorgercene e dopo ce ne vergognamo. La religione del canto da noi non esiste e i suoi sacerdoti, anche i più grandi, li consideriamo come fortunati déclassés). Anche l'Estonia aspira al canto, lo studia, se ne inorgoglisce, gli dedica immense arene per farne spettacolo di massa e quasi espressione riassuntiva del genio nazionale. Sono i «Laulupidu», cioè il parlamentarismo applicato al do di petto: migliaia di rappresentanti delle virtù canore delle diverse provincie, adunati sotto la presidenza del «Decano dello Stato» che altri non è che il presidente della repubblica, compongono le grandi assise del canto nazionale e offrono uno spettacolo veramente indimenticabile. Ma anche questo canto, come tutto ciò che gli estoni esprimono —compresi i campanili e le torri—, non aspira punto al cielo, resta aderente alla terra, è anche lui umano e soltanto umano.
Paesaggio fantomatico
Infine c'è il paesaggio, il quale è un paesaggio prerusso con la sua lentezza sonnacchiosa e la sua luce d'acquario. Tutto teso, come un panno a asciugare e foreste e foreste d'abeti con laghetti bianchi, tondi e immobili come in un parco e fiumi tirati col righello. Un paesaggio pigro, impigrito anche dal semestre e più di quasi perpetua notte. Quando la primavera, come ora avviene, lo sveglia, ha un'aria sbalordita e tarda a ritrovar la coscienza della realtà. I germogli esitano sui tronchi ischeletriti, un lucciolio di timidi umori lacrima pei rami, i cieli spalancatisi a un tratto sono lontani e morbidi e sembra che dietro ad essi ci siano ancora altri cieli. Ne sgronda una luce bianca che, in quella che dovrebbe esser la notte, si sopravvive in un colaticcio rappreso, un lucore iperboreo, irritante e divertente, come di un'alba abortita. La bellezza delle notti bianche è mostruosa come quella delle eclissi, i profili delle cose vi trasognano, tutto slitta —anche i pensieri— sopra un viscido fango biancastro, il più amletico dei dubbi sul tuo essere, sull'essere in genere, ti attanaglia. Se questi crepuscoli di latte quagliato vai a passeggiarteli in barca sul mare, su questo inerte e crudele Baltico che non t'invoglia neanche al suicidio, se perdi anche il tatto della terra ferma, hai l'impressione del sospeso fra cielo e terra, dell'incorporeo spazio: mescolata e orrida impressione dove tutto c'è fuor che il piacere.
Perchè di piacere questa terra del Nord non te ne dà che uno: quello di pensare che non è la tua.
Autore: Indro Montanelli per il quotidiano La Stampa, mercoledì 15 giugno 1938, pagina 3.

mercoledì 20 luglio 2011

L'Estonia in un articolo del 1961

E' DIFFICILE PER UN OCCIDENTALE L'INGRESSO NEGLI STATI BALTICI ANNESSI DA MOSCA
Anche nelle campagne dell'Estonia sovietizzata
sono i piccoli poderi privati che rendono di più
La collettivizzazione delle terre fu condotta duramente, ed incontrò serie resistenze in un paese dove non c'era latifondo - Ora i contadini dei "kolkoz" possono coltivare in proprio meno di un ettaro: ottengono un reddito quasi tre volte superiore che nel lavoro collettivo. Il regime ha impiantato a Tallin infiniti uffici ed una immensa burocrazia, ma non ha cancellato il vecchio volto della città - In caffè e botteghe di stile scandinavo, in piazze e quartieri d'impronta medioevale, si muove una folla che non ha perduto antiche, gentili tradizioni
(Dal nostro inviato speciale) Tallin, marzo. Nei paesi pre-baltici il regime comunista ha compiuto appena sedici anni. Estonia, Lettonia e Lituania furono annesse all'Unione Sovietica nel '40, in seguito al provvisorio patto Ribbentropp - Molotov, che aveva spartito tra Berlino e Mosca le sfere d'influenza nell'Europa orientale e smembrato la Polonia, ma l’offensiva hitleriana verso Est sottrasse poi per quattro anni le capitali baltiche al potere sovietico, che vi affondò veramente le sue radici solo nel '45, quando le armate dei marescialli Govorov e Merezkov conquistarono l'intera fascia costiera fino a Koenigsberg, oggi Kaliningrad. I governi occidentali non riconobbero mai l'annessione dei baltici.
Nel dopoguerra, Tallin, Riga e Vilno sono state a lungo città chiuse agli stranieri. II sipario si è levato solo di recente, dopo la collettivizzazione delle terre e il consolidamento del regime, ottenuto con metodi, per cosi dire, risoluti. Da poco è stato consentito agli ospiti dell'Unione Sovietica di osservare in qual modo gli estoni si sono adattati al comunismo. In queste circostanze, se è possibile vedere e ascoltare, è disagevole concludere. Non resta che descrivere episodi e personaggi.
Anzitutto le campagne, dove gli estoni sono ancora in grandissima maggioranza. A 100 chilometri da Tallin, nella provincia di Rakvare, ho conosciuto un personaggio singolare. Si chiama August Lappassaa, figlio di un ex-kulak, anche se questo nome a lui non piace: preferisce dire che il padre era un piccolo proprietario agiato, un coltivatore diretto. Oggi, Lappassaa è presidente di un grande kolkoz, intitolato allo scrittore Edvard Vilde. Il vice-presidente dell'azienda collettiva è anch'egli figlio d'un coltivatore diretto. Nei tempi «borghesi» l’intera provincia era divisa in piccole proprietà: nessun barone della terra, nessun bracciante, poiché la Repubblica indipendente aveva già realizzato a suo modo una riforma agraria.
La dimensione dei poderi era costante, dai venticinque ai trenta ettari, di cui dieci o quindici coltivabili. V'erano aziende ricche e povere, così come proprietari abili o inabili. L'espropriazione comunista avvenne negli anni 1949-50.
Lappassaa è un uomo pratico, col quale si può discutere di cose concrete. Dalla sua conversazione, tra un bicchiere e l'altro d'una speciale vodka estratta dalle patate e prodotta dal kolkoz, ho avuto la conferma che la collettivizzazione non fu pacifica. I coltivatori poveri vi si adattarono più facilmente; gli altri, i benestanti, che mandavano già i figli a studiare all'Università di Tallin o a quella di Tartu, obbedirono a due diversi stati d'animo: si opposero, e a tale atteggiamento associarono anche la protesta antisovietica fondata sui motivi del «nazionalismo borghese», oppure decisero di saltare il fosso, sapendo che il regime aveva bisogno di esperti e considerando che è meglio dirigere piuttosto che essere diretti. Non ho conosciuto nessuno di coloro che si opposero, chissà dove sono. August Lappassaa e il suo sostituto, evidentemente, appartengono all'altra corrente.
I dipendenti del kolkoz guadagnano oggi in media 96,40 rubli nuovi al mese (circa 66 mila lire). Ma si tratta di un kolkoz ricco, una fattoria modello perfettamente meccanizzata, di quelle che si mostrano ai forestieri. Il comportamento dei contadini produce anche qui, tuttavia, un fenomeno significativo, che traspare dall'analisi del bilancio kolkosiano.
L'azienda possiede 3600 ettari di terre, di cui 2000 coltivati in comune. Il lavoro collettivo rende in un anno beni per un milione e 130 mila rubli nuovi. Ad ogni capofamiglia è concesso poi in uso privato un appezzamento di terra pari a sei decimi di ettaro, che rende in media 800-900 rubli nuovi all'anno. Vivono nel kolkoz 283 famiglie, che complessivamente coltivano a titolo privato 170 ettari di terra. La proprietà privata produce dunque 283 volte beni per 800 o 900 rubli nuovi all'anno su 170 ettari. Moltiplicando per la media (850) otteniamo un valore di 240.550 rubli nuovi, mentre la proprietà collettiva rende su duemila ettari un milione e 130 mila rubli nuovi. Dunque gli appezzamenti privati rendono per ogni ettaro 1415 rubli nuovi in un anno e la proprietà collettiva rende per ogni ettaro 565 rubli in un anno.
Il kolkoz è specializzato nella produzione di carne e latte e ospita persino un allevamento di animali da pelliccia (visoni, zibellini, volpi). Non c'è un solo russo nella fattoria. Tutto si fa in famiglia, alla buona. I contadini vivono in casolari lindi, separati l'uno dall'altro all'uso estone, gelosi della loro indipendenza reciproca. La città presenta un'analoga sovrapposizione del nuovo regime al modo di vivere degli estoni. Di notte, quando le moltitudini degli immigrati russi non occupano le vie di Tallin, si può dimenticare d'essere nell'Unione Sovietica. Piazze e vicoli europei, intatti quartieri dell'età anseatica, insegne e stemmi dei Portaspada e delle ghilde mercantili, conservati con la religione di un popolo intimamente legato al suo passato. Botteghe ancora eleganti, vecchie lanterne di ferro battuto, angoli gotici e caffè tradizionali, sempre aperti fino alle ore piccole.
Potrebb'essere Copenaghen o Lubecca: non solamente le severe dimore della borghesia ottocentesca, dai mattoni rossi e dai battenti d'ottone ancor lustri, ma pure le nuove costruzioni evocano la società protestante dei Buddenbrook assai più che ricordare l'esistenza del signor Kabin, primo segretario del partito comunista dell'Estonia sovietica e capo della nuova classe dirigente.
L'incarico di richiamare alla mente quel che è avvenuto pare affidato alle targhe in cirillico, che annunciano i ministeri e gli innumerevoli upravlenii e otdelenii (enti e uffici sovietici), dislocati a presidiare la città alta intorno al centro goticheggiante. Qualche volta si esagera. Al numero ventidue della via Pikk c’è un edificio medievale, che reca un'iscrizione in lettere latine («Anno Domini 1309») e bassorilievi raffiguranti due maestosi cavalieri dell'ordine di Livonia; ma sull'ingresso è stato collocato un grande cartello rosso, come ce n'è tanti a Mosca, sul quale è scritto: «Aghitpunkt» (parola russa che significa Centro di agitazione civica).
I grandi magazzini di Tallin, benché non opulenti, sono migliori degli Univermag moscoviti. La merce vi è ben disposta, non accatastata o celata agli occhi del pubblico, i commessi hanno ancora voglia di vendere e di lustrare gli stigli di linea svedese, l'artigianato non è scomparso del tutto (porcellane, argento, legno). La tradizionale vita di caffè non è andata perduta. Più fortunati dei moscoviti, i fidanzati di Tallin possono prendere il tè senza mettersi in coda. Ritrovi splendenti e cqnfortevoli, lontani dall'austerità russa: vi si scopre perfino la panna montata e i giovani di famiglia borghese, anche quelli che oggi fanno gli operai, vi si riuniscono in circoli esclusivi, come se nulla fosse accaduto. Pitture astratte alle pareti, kellerine solerti, allegre, e talvolta perfino camerieri in smoking.
Il più antico caffè, di Tallin si chiama Vana Thomas, ossia Vecchio Thomas. E' necessario chiarire che Thomas è il prototipo proverbiale del cittadino estone, come Ivan del russo. Ivan avrà le sue ragioni per starsene seduto volentieri alla stolovaia, dinnanzi alla sua zuppa, con ambedue i gomiti piantati sul tavolo, o comunque per non esigere altri conforti e non essere sensibile a più gentili costumi; ma Thomas non rinuncia a vivere alla sua maniera, con garbo, a tavoli separati, salutando il prossimo con un inchino. Che il comunismo potesse vestire panni diversi lo sapevamo già, avendo confrontato Mosca e Varsavia. Adesso constatiamo che questo accade anche entro i confini dell'Unione Sovietica, verso l'Europa.
Ciò non significa, beninteso, che il tenore di vita concreto degli estoni sia superiore allo standard russo. Il sindaco di Tallin ci ha detto che i cittadini della capitale estone dispongono in media di 6-9 metri quadrati di superficie abitabile pro capite.
L'Enciclopedia Sovietica dice che gli estoni ricavano dal Baltico una immensa quantità di pesce ed elenca salacche, acciughe, merluzzi, sogliole, anguille, salmoni ecc. ecc.; ma i negozi, i mercati e i ristoranti non lo confermano. Nessuno sa in quali condizioni versi il porto commerciale, perché è chiuso agli estranei, come quello militare.
Descriveremo più oltre i termini del problema più delicato, dal punto di vista economico e da quello politico: la massiccia immigrazione russa. Anticipiamo per ora che a Tallin si pubblicano quattro giornali quotidiani di considerevole tiratura, dei quali due in lingua estone e due in russo. Fra i teatri cittadini, uno è russo. L'8 marzo, celebrando la giornata della donna sovietica, il teatro «Estonia» (in lingua estone) metteva in scena curiosamente, dopo i discorsi ufficiali, l'operetta «Baiadera» di Kalman.
Autore: Alberto Ronchey per il quotidiano La Stampa, mercoledì 22 marzo 1961, pagina 3.

sabato 16 luglio 2011

Königsberg - Kaliningrad, il fattore "K"

Se plani sull’isola Kaliningrad arrivando in volo da Mosca, dopo aver superato il mare dell’Unione Europea, lei ti sbatte subito in faccia tutta la sua ambiguità. Niente dogane, sventola bandiera russa, ma più sorrisi ed efficienza. Una ragazza allunga un depliant con una foto in bianco e nero e un “benvenuti”: è l’antica Königsberg, morta sessant’anni fa per far posto alla città sovietica. Pubblicizza il nuovo hotel Kaiserhof, in russo e tedesco: «È per i turisti e i businessmen» dice la ragazza senza scomporsi. Bmw, Volvo, Sweden Bank, Kia, Nestlé, Ikea, Caterpillar, Gillette, Philip Morris, si legge sui minibus in attesa. È questa la Hong Kong del Baltico? L’enclave di Mosca in terra europea, ponte verso ovest e cavallo di Troia verso est per il business europeo? Luogo pirandelliano, dall’identità schizofrenica, questa città che il putinismo ha trasformato in una portaerei virtuale dentro la Ue e la Nato: è qui che il Cremlino minaccia di piazzare i missili come risposta all’eventuale scudo spaziale dell’Alleanza atlantica, anche se dopo le aperture dell’amministrazione Obama - che non sembra orientata a rispolverare politiche da guerra fredda - il “piano K” è in stand by, ma resta una contromisura pronta a scattare. Ecco perché siamo andati alla scoperta di un luogo di cui sentiremo molto parlare.
Di soprannomi Kaliningrad se n’è vista affibbiare tanti, quante le sue vite: avamposto militare dell’Urss, città chiusa simbolo della cortina di ferro, poi terra di confine, finestra russa sull’Occidente. Infine, contro ogni previsione, piccolo miracolo economico, col Pil cresciuto del 10 per cento in tre anni. «Siamo seduti su un vulcano, fra i capricci di storia e geografia» sorride Valentina, figlia di veterani di guerra arrivati qui, come tutti, dopo il 1945. I 950 mila abitanti di Kaliningrad non superano la seconda generazione. Valentina lavora ai cantieri navali militari statali Jantar: «Con la crisi le commesse da Mosca sono calate». Non solo quelle. Nell’aeroporto si costruisce il nuovo terminal, che vuole fare concorrenza a Mosca come hub internazionale. Ma KD Avia, la compagnia locale nata del 2005 e fiore all’occhiello del boom con i suoi voli per Roma, Barcellona e Tel Aviv, ha appena dichiarato bancarotta. «Una macchinazione di Mosca per accaparrarsi un buon affare» sussurra qualcuno, con la diffidenza per il potere centrale tipica dei locali: «Da là arrivano solo diktat». In città, si respira aria d’Europa.
Le strade si chiamano Ottobre, Gagarin, Proletaria. Ma con il capitalismo, anche il passato tedesco riaffiora dal doppio fondo, facendo dimenticare il relitto del palazzo dei Soviet mai abitato, “il mostro”. In piazza della Vittoria, ex piazza Hitler, la statua di Lenin è stata rimossa nel 2005 per fare posto alla nuova cattedrale ortodossa. Di fronte sta l’immenso centro commerciale Europa con le sue boutique di lusso e la gelateria italiana, guardato a vista dal monumento alla Madre Patria del 1946. Nel 2005 il Comune ha festeggiato in gran pompa il 750° anniversario della città. Königsberg, ovvio. Giovani volontari riparano le fortificazioni teutoniche, l’elegante cinema Zarja anni Trenta perfettamente restaurato ospita il Festival scandinavo, nel ristorante accanto arredi d’epoca hitleriana e il caffè glamour è opera dei designer. I vecchi storcono il naso, il ricordo della guerra è una ferita aperta. «Ciò che è rimasto di bello è “ex”, straniero, non nostro. Soffriamo di questo complesso» dice Alexander, trent’anni, avvocato. Sull’isolotto nel fiume l’immensa cattedrale luterana restaurata dai tedeschi fa ombra alla tomba di Immanuel Kant, nato qui nel 1724. «Pochi hanno letto la Critica della ragion pura, in questo Assurdistan» scherza Alex. Sfrecciano Bmw, Mercedes e Audi; la nuova classe media e gli oligarchi ai grattacieli moscoviti preferisce villini in stile tedesco o dimore eclettiche della città giardino anni Venti dove abitò Göring, il decò di via Thälmann. Sulla costa, a Svetlogorsk, comprano chalet svizzeri in via Lenin, dietro al Grand Palace frequentato da Putin: la moglie Ljudmila è nata qui.
«Bella insalata, vero? Noi la chiamiamo König, o scherzando Königskant» fa Alex. Quel nome odioso che ricorda il Kalinin compare di Stalin, il governo non vuole cambiarlo. Le ragazze vestono all’europea, con make up sobri. «Siamo russi per lingua, politica e feste comandate, ma ci sentiamo europei. Berlino dista 600 chilometri, Mosca il doppio». Dopo l’Urss Kaliningrad si sente abbandonata tra povertà, Aids e contrabbando di auto, droga, alcool e sigarette. «Per noi giovani era la libertà. Potevamo andare in spiaggia a Klaipeda, ai concerti rock a Varsavia senza visti. Privilegiati. Poi ci siamo visti tirare su un muro davanti agli occhi in una notte». Era il 2004: Polonia e Lituania che circondano l’enclave entrano nella Nato e nella Ue. Schengen rischia di fare di Kaliningrad una prigione. Bruxelles concede facilitazioni di movimento ai kaliningradesi, però i vicini impongono code estenuanti alle frontiere. I traffici illeciti proseguono. «Oggi con la crisi il flusso si inverte: di là pane, carne e latte costano meno che da noi» è preoccupato Daro, in fila da ore a Bagrationovsk, varco per la Polonia.
Le tigri dell’est affondano nel deficit «e noi rischiamo di diventare una nave alla deriva, così dipendenti dall’esterno». Il porto internazionale di Baltysk, unico in Russia che non gela mai, ha licenziato metà organico. «Al solito, dovremo cavarcela da soli» dice Dmitri, capo di una media impresa di trasporti che lavora con Olanda, Norvegia e Germania. L’insofferenza per i lacci imposti dal centro traspare: «Hong Kong? Possiamo diventarlo, laboratorio di convivenza con l’Europa. Ma il potere frena, teme il separatismo e che altre regioni ci imitino». Mostra le foto del viaggio in Italia: «I nostri figli non sono mai stati a Mosca. Che Russia è?». E i missili Iskander che Medvedev voleva piazzare qui? «L’abbiamo scampata, già vedevamo gli stranieri fuggire». Mamma Mosca promette aiuto: una centrale nucleare entro il 2014, quella a gas Tez che venderà energia ai Baltici. Gioco d’azzardo libero. La Zona Economica Speciale creata nel 1996 concede ampi sgravi fiscali e doganali agli investitori. «Ma mancano garanzie per il capitale, la corruzione impera. In Germania la legge è legge, qui no» chiosa Alex. «Sai che Kant arrivò tardi al suo matrimonio e poi non si sposò mai più? Forse è il nostro destino». Quando comincia il futuro nella città di K.?

mercoledì 13 luglio 2011

L’Estonia concede asilo politico al blogger russo Terentyev

Il musicista e blogger russo Savva Terentyev, condannato nel 2008 per incitamento all'odio contro la polizia, ha ricevuto la concessione dell’asilo politico da parte delle autorità di immigrazione estoni l’11 luglio scorso. La decisione da parte della Polizia e della Guardia di Confine permetterà a Terentyev, a sua moglie ed a suo figlio, che vivono in Estonia da gennaio, di rimanere nel Paese per almeno tre anni.
Nel luglio 2008, un tribunale di Syktyvkar (luogo natìo di Terentyev, nel distretto di Komi, in Russia) lo aveva dichiarato colpevole per "incitamento alla inimicizia e rappresentantazioni pubblicamente umilianti di un gruppo sociale", condannandolo ad un anno di reclusione con sospensione della pena.
L'anno precedente, l’allora ventunenne Terentyev aveva pubblicato un articolo sul suo blog, commentando un raid violento della polizia alla sede di un giornale locale di opposizione. Terentyev era stato molto critico nei confronti della polizia ed aveva invitato a manifestazioni in ogni città russa per protestare contro la diffusa corruzione della polizia.
Il procedimento contro di lui cominciò sei mesi dopo. La prigionia di Terentyev ha scatenato onde d'urto attraverso la comunità russa di internet, in quanto è stato il primo caso di reato accertato sulla base di un commento nel blog. Il caso è stato anche citato da gruppi internazionali per i diritti, come Reporters Senza Frontiere, Freedom House e Human Rights Watch, ai quali è pervenuta la domanda di asilo politico di Terentyev, supportata dal rapporto redatto dal servizio russo della BBC.
In un'intervista alla BBC, Terentyev ha detto di aver avuto difficoltà a trovare lavoro da quando ha subìto la condanna, a causa della cattiva reputazione che ha ricevuto, aggiungendo di non avere intenzione di tornare in Russia in futuro. “Tutto questo è finito da quando ho avuto il riconoscimento dell’asilo nell’Unione Europea e finalmente ora posso viaggiare liberamente”, ha detto.
Sebbene convinto di non aver infranto la legge con i suoi commenti, Terentyev si è pentito per averli scritti. “Non sapevo ed ancora non credo di aver infranto la legge, ma ora non lo rifarei perché il mio stato d’animo è diverso da 4 anni fa”, ha aggiunto. “Ho già ammesso in tribunale che si trattava di pura stupidità. Ma per una corrispondenza personale tra due giovani era un comportamento perfettamente normale”.

L'Estonia tra i Paesi con più foreste

Nell’anno 2010 il 54% dell’intero territorio dell’Estonia è risultato coperto da foreste e boschi. La statistica, pubblicata da Eurostat nel giugno 2011, pone l’Estonia tra i primissimi posti negli stati dell’Unione Europea con la più alta proporzione di verde in relazione all’intera superficie.
In tale classifica primeggia la Finlandia (77%), seguita da Svezia (76%), Slovenia (63%), Lettonia (56%) e Spagna (55%). In tutti gli altri stati dell’Unione Europea la percentuale è inferiore al 50%. In fondo alla Classifica c’è Malta con lo 0,5%.
Nel 2010 tutte le foreste ed i boschi di tutti i 27 Paesi dell’Unione Europea hanno costituito un’area di 178 milioni di ettari, pari al 40% dell’intera Unione.

domenica 10 luglio 2011

I 20 anni della nuova Estonia indipendente.

Questa è la prima estate nella quale i cittadini dell'Estonia potranno recarsi in molti Paesi europei senza bisogno di dover cambiare la valuta (Euro). Già dal 2007, con l'entrata in vigore dello "Spazio Schengen" anche per la Repubblica di Tallinn, gli Estoni potevano comunque già muoversi con maggiore facilità.
Si tratta di una ricorrenza epocale, che va ad aggiungersi al ventesimo anniversario della ritrovata indipendenza, avvenuta il 20 agosto 1991.
In una Europa che spesso si muove con la disinvoltura di un elefante dentro ad un negozio di cristalli, tra crisi economica e di valori, problemi e preoccupazioni (inquinamento, immigrazione clandestina, estremismi e pazzie di varia natura), l'entusiasmo della sana e giovane Estonia rappresenta un prezioso contributo in termini di vivacità e di vitalità.
Ricordiamo la ricorrenza andando a rileggere un giornale italiano di 20 anni fa, che per la prima volta parlava di "Estonia indipendente" post-sovietica.
Dal quotidiano La Stampa di mercoledì 21 agosto 1991, pagina 8:
(...) L'Estonia dichiara l'indipendenza (...)
TALLINN. Un annuncio nella notte: il Parlamento estone ha proclamato l'indipendenza da Mosca. La risoluzione è stata approvata con 69 voti a favore su 104: la votazione è stata disertata dai deputati della comunità russa.
Per tutto il giorno, lo sferragliare dei carri armati dell'Armata Rossa era risuonato alla periferia di Tallinn. Barricate erano state erette intorno agli edifici della radio-tv. Per scongiurare un bagno di sangue, il presidente del Consiglio municipale cittadino, Andres Kork, aveva parlato per un'ora e mezzo con i comandanti delle unità paracadutiste: gli hanno garantito che «non vogliono avere incidenti con i civili». (...)

domenica 3 luglio 2011

Popolazione in Estonia dal 1922 al 2009

Secondo i dati demografici del 2009, la popolazione dell’Estonia è di 1.340.415 abitanti, così suddivisi per gruppi etnici: Estoni 921.484 (68,7%), Russi 342.966 (25,6%), Ucraini 27.878 (2,1%), Bielorussi 15.717 (1,2%), Finlandesi 10.767 (0,8%), Tartari 2.461 (0,2%), Lettoni 2.199 (0,2%) Polacchi 2.035 (0,2%), Lituani 2.072 (0,2%), Tedeschi 1.905 (0,1%), Ebrei 1.830 (0,1%). I rimanenti 9.101 (0,7%) appartengono a varie nazionalità, tra le quali Armeni, Azeri, Moldavi, Morduini, Romeni, Ciuvasci, Georgiani, Careliani, Ingri, Mari, Udmurti, Bulgari, Ungheresi, Coreani, Baschiri, Greci ed altre minori di 100 unità.
Il gruppo etnico Estone, pertanto, costituisce poco più dei 2/3 dell’intera popolazione dell’Estonia. Ma se si osservano, di seguito, le cifre relative ai 3 principali gruppi etnici nel corso dei censimenti ufficiali del ventesimo secolo, si scoprirà che gli Estoni arrivarono ad essere quasi i 9/10 degli abitanti del loro Paese, prima che venisse invaso e poi annesso dall’Unione Sovietica.
I numeri e le percentuali parlano più di tanti discorsi di parte: durante l’occupazione sovietica avvenne un vero e proprio tentativo di pulizia etnica degli Estoni (a più riprese deportati e fatti morire in Siberia) al quale faceva seguito un riempimento delle case svuotate con popolazioni slave.
Questi numeri andrebbero sempre tenuti a mente, specialmente ogni qualvolta le persone che non conoscono la storia parlano a vanvera su presunte discriminazioni che gli Estoni di lingua russa talvolta subirebbero.


AnnoEstoniRussiUcrainiTotale
1922969.976 (87,6%)91.109 (8,2%)nessuno1.107.059
1934992.520 (88,1%)92.656 (8,2%)92 (0,0%)1.126.413
1959892.653 (74,6%)240.227 (20,1%)15.769 (1,3%)1.196.791
1970925.157 (68,2%)334.620 (24,7%)28.086 (2,1%)1.356.079
1979947.812 (64,7%)408.778 (27,9%)36.044 (2,5%)1.464.476
1989963.281 (61,5%)474.834 (30,3%)48.271 (3,1%)1.565.662
2000930.219 (67,9%)351.178 (25,6%)29.012 (2,1%)1.370.052

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A fianco alcuni biglietti per i trasporti pubblici in Estonia durante il periodo dell'occupazione sovietica. Il bilinguismo forzato è un'altra prova del programma di russificazione dell'Estonia. L'indipendenza di Lituania, Lettonia ed Estonia all'inizio degli anni 90 del ventesimo secolo, in un certo senso, fu anche una rivincita dell'alfabeto latino sull'alfabeto cirillico in riva al Baltico.

sabato 2 luglio 2011

Nomi e cognomi più diffusi in Lettonia nel 2010

Levinuimad ees- ja perekonnanimed Lätis 2010. aastal


Nomi maschiliNomi femminiliCognomi ("significati")
1JānisAnnaBērziņš (“delle betulle”)
2AndrisKristīneKalniņš (“dalle colline”)
3JurisIneseOzoliņš (“delle querce”)
4EdgarsIngaJansons (“di Giovanni”)
5MārisIlzeOzols (“quercia”)
6AivarsLīgaLiepiņš (“dei tigli”)
7MārtiņšDaceKrūmiņš (“tra i cespugli”)
8PēterisAnitaBalodis (“colombo”)
9IvarsMarijaEglītis (“degli abeti”)
10KasparsIevaZariņš (“tra i rami”)

(Fonte: http://www.li.lv/index.php?option=com_content&task=view&id=32&Itemid=223)