Proprio nei giorni correnti sono salite alla ribalta le vicende dell’Ucraina; in particolare la forzatura militare della Crimea da parte dei Russi e dei Filorussi. Alla vigilia della composizione di questo pezzo, la nostra mente volava incontrollata su Torino, dove una delle strade principali è l’imponente Corso Sebastopoli. Chissà se i Torinesi di oggi sanno perché tale località della Crimea ha l’onore di essere ricordata nella loro città, quando divenne la prima capitale del Regno d’Italia. E chissà se, ancora a Torino, ma anche a Milano, Roma e altrove, la popolazione odierna sa perché c’è una Via Cernaia, intitolata al fiume di Sebastopoli, ci siamo chiesti.
Tralasceremo le delucidazioni su quanto sopra e rimandiamo a ricerche su Google i pochi ignari. Se, arrivato a questo punto, il lettore si aspettasse l’ennesimo articolo pro Ucraina per partito preso, può desistere dal continuare a leggere, in quanto ci sentiamo pervasi dall'ispirazione di eseguire un assolo fuori dal coro. Perché al di là della sincera ammirazione verso la gente comune, che al giorno d'oggi non ha nazionalità ed anzi in Ucraina negli ultimi mesi ha dimostrato notevoli coraggio e tenacia, tuttavia c'è uno Stato che secondo noi è responsabile e non vittima della sua situazione attuale.
L’Ucraina fu uno dei padri fondatori dell’Unione Sovietica, alla quale aderì liberamente fin dall'origine e dalla quale ne avrebbe ricavato indiscussi privilegi, all'epoca della spartizione del bottino di guerra del 1945: un posto fisso all’ONU e numerosi ingrandimenti territoriali che la portarono a diventare lo Stato di oggi, ovvero, escludendo la Russia, il più esteso d’Europa. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, l’Ucraina incorporò larghe aree della Polonia orientale (dove, avvantaggiata dall’annientamento degli Ebrei nel triennio precedente e dopo aver espulso in malo modo i Polacchi che ancora vi sopravvivevano, colonizzò i nuovi territori con sua popolazione) e tolse alla Cecoslovacchia la Rutenia Subcarpatica, facendola diventare il campo base per i carri armati che avrebbero soffocato nel sangue le rivolte in Ungheria (1956) ed in Cecoslovacchia (1968). Inoltre l'Ucraina rosicchiò alla Romania a nord la Bucovina ed a sud la Bessarabia meridionale, motivo per il quale la Moldavia attuale non ha un vero sbocco sul Mare Nero. Poco prima di tirare le cuoia, infine, il capo del condominio sovietico Don Peppino Stalin preparò lo scorporo della Crimea dalla Russia, che il suo successore avrebbe regalato appunto all’Ucraina, sebbene di Ucraini in Crimea ce n’erano - e ce ne sono ancora oggi - circa il 20% della popolazione totale.
Nel campo etimologico la parola Ucraina significa semplicemente Terra di confine. In tempi più remoti essa era anche nota come Piccola Russia, per distinguerla dalla Grande Russia (la Russia vera e propria) e dalla Russia Bianca (Bielorussia). Insomma, gli Ucraini sono sostanzialmente dei Russi di frontiera, che in questa parte della pianura sarmatica, con i fiumi che scorrono verso sud, hanno soppresso le popolazioni precedentemente stanziate (Greci, Circassi, Tatari, Cosacchi, eccetera) e millantano di essere loro stessi un popolo a parte, per il mero fatto di essere riusciti a brevettare il proprio gergo dialettale ed iscriverlo nel registro delle lingue riconosciute come nazionali.
Ecco, fermo restando che le motivazioni di Vladimiro Putin da Mosca sono davvero imperdonabili (“Non è puossìbile lasciare nuòstra popolazione russa intrappuolàta in artigli di quèi froci fascisti di Kiev”) e non possono in alcun modo giustificare l'ingerenza diretta della Russia nella vicenda, al termine dello scritto ci congederemo con un trittico di mappe, che tanto i giornalisti quanto i politicanti non conoscono o non vogliono ricordare. Serviranno per comprendere tanto la vera origine delle azioni di Mosca, quanto che si tratti di una faccenda tra Slavi e che devono sbrigarsela tra loro. Noi che abitiamo al di qua dei Carpazi dobbiamo sicuramente caldeggiare e favorire l'inizio di un dialogo pacifico intorno al tavolo, possiamo anche divertirci a scegliere se tifare per gli azzurro-gialli o per i bianco-blu-rossi, ma non sognamoci di intervenire, decidere sanzioni, di ingerire o perfino di esprimere giudizi in una questione familiare altrui.
Concludiamo con una osservazione rivolta a quanti, pochi anni fa, si ribellarono mediaticamente alla rimozione della statua del soldato sovietico da Tallinn ed a quanti, diplomaticamente, ancora oggi deplorano la politica sociale di Estonia e Lettonia rivolta ai Russi presenti nel loro territorio, che possono scegliere solo tra l’essere assimilati o l’andare via. Quello che è già accaduto in Georgia nel 2008 e che sta accadendo in Crimea oggi, nel 2014, rischia sempre di ripetersi sulle Repubbliche baltiche. E stiamo attenti anche dalle nostre parti, dove con esagerata disinvoltura si vendono edifici residenziali ed attività produttive ai Russi. Stiamo attenti a non farli diventare una minoranza etnica, perché in futuro ci sarà sempre un Putin pronto a tirarci i sassi con la fionda, se non faremo come dice lui.
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